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IL MINISTERIO CRISTIANO

Introduzione
Capitolo 1 – Il Ministerio Spirituale
Capitolo 2 – I Ministeri della Chiesa
Capitolo 3 – Amministrazione Spirituale dei Doni
Capitolo 4 – Alterazione del Ministerio.
Introduzione

Il ministerio cristiano rappresenta uno dei soggetti meno conosciuti e meno studiati nel seno della cristianità. Sembra quasi che l’influenza moderna sia riuscita a sbiadire il concetto della soprannaturalità del servizio nella chiesa e che quindi la sostituzione del ministerio spirituale con quello tecnico e formale, largamente in uso in questi giorni, sia accettato come una circostanza logica e pacifica.

Questo studio si ripropone di riportare alla luce, e quindi di sottoporre all’attenzione generale, un soggetto che, benché dimenticato ed ignorato, non ha perduto nulla della sua attualità e del suo valore. Non abbiamo la presunzione di credere che queste pagine siano perfettamente idonee al conseguimento dello scopo, ma speriamo almeno che esse rappresentino un incentivo verso uno studio profondo ed accurato del ministerio cristiano.

Siamo certi che tutti i credenti, attraverso l’esame sincero delle Scritture, riconosceranno non soltanto la necessità di fare del ministerio spirituale disciplina di studio, ma anche quella, molto più importante, di porre il ministerio spirituale al centro dell’attività ecclesiastica e dell’attività cristiana in genere.

Con questa rosea visione raccomandiamo a Dio questo modesto lavoro e, soprattutto, quei fedeli che si accosteranno ad esso a scopo di studio.

IL MINISTERIO SPIRITUALE

a) Lo Spirito nel ministerio cristiano.

Il ministerio cristiano è un ministerio spirituale e questo vuol dire soprattutto che è esercitato nella guida e nella potenza dello Spirito.

Ogni dettaglio di questo glorioso ministerio, ogni attività periferica di esso devono essere manifestazioni dello Spirito perché il lavoro di Dio può essere compiuto soltanto dallo Spirito di Dio.

La predicazione o il diaconato; i governi come sussidi; la presidenza, il pastorato, tutto deve essere controllato, guidato, attivizzato dallo Spirito Santo. Sostituire a questa Persona divina la capacità o l’eloquenza umana significa uscire fuori dai limiti perfetti del vero ministerio cristiano.

Non è bello affidare predicazione o presidenza; insegnamento e governo ad individui incapaci a farsi controllare e guidare dallo Spirito. Possono anche essere individui in possesso di indiscutibili doti sociali o umane, ma non per questo potranno esercitare un ministerio che dipende esclusivamente dall’intelligenza e dalla potenza dello Spirito.

Osserviamo per un momento il lavoro di un vero operaio cristiano: “La mia parola e la mia predicazione non è stata con parole persuasive dell’umana sapienza, ma con dimostrazioni di Spirito e di potenza” (1Corinzi 2:4).

Paolo ci traccia, a grandi linee, un termine di raffronto e ci dichiara, in maniera esplicita, che il lavoro di Dio ignora le risorse umane per attingere la propria linfa alla fonte inesauribile dello Spirito.

Egli parla del ministerio cristiano come del più elevato, del più glorioso dei ministeri e lo definisce categoricamente il “ministerio dello Spirito”. “Come non sarà piuttosto con gloria il ministerio dello Spirito” (2Corinzi 3,8).

Accettato questo principio, accettiamo implicitamente l’altro che tutte le caratteristiche e tutte le circostanze di questo ministerio rappresentano doni e manifestazioni dello Spirito; cioè, come già detto, ogni parola, ogni azione, ogni programma inclusi nel ministerio cristiano sono il risultato della potenza e della guida dello Spirito attraverso la strumentalità umana. Lo studio accurato dei seguenti passi scritturali può fornire la più

ampia delucidazione del problema: Romani 12:6-8, 1Corinzi 12:1-11, 1 Corinzi 14.26, Efesini 4.11; Fatti 6,3, Fatti 20.28, 1Corinzi 12.28.

Questi versi biblici dichiarano apertamente che l’uomo non può dare nessuno apporto umano al ministerio cristiano, il quale è ministerio integralmente spirituale.

b) Le caratteristiche del ministerio spirituale.

Le manifestazioni del ministerio cristiano si possono dividere e classificare in tre distinte categorie seguendo la falsariga tracciata dall’apostolo Paolo nella sua epistola ai Corinti. Possiamo così dire che esse sono rappresentate dai dono soprannaturali (dal greco Kàrismata): 1Corinzi 12.4; dai ministeri e dai servizi (dal greco Diaconai): 1Corinzi 12.5; e dalle operazioni o manifestazioni di potenza (dal greco Energemeta): 1 Cor 12.6.

Tutte queste manifestazioni però possono esser considerate ugualmente doni o fenomeni dello Spirito: 1 Cor. 12.11

Possiamo dire, per dare un’illustrazione, che come l’organismo umano è fornito di apparati, sistemi e, nei suoi più minuti particolari, di organi, così la chiesa è fornita di servizi, di doni, di operazioni spirituali capaci di compiere totalmente l’opera del ministerio per l’edificazione del corpo di Cristo. Efesi 4. 12, 16 Efesi 1.23.

Quindi non diremo mai che la profezia o la glossolalia (lingue) rappresentano doni dello Spirito o manifestazioni dello Spirito, ma diremo che anche i sussidi, i governi, il diaconato, l’insegnamento, ecc. fanno parte dei diversi sistemi di un unico organismo la cui vitalità è accentrata perfettamente nello Spirito di Dio.

c) I ministeri.

Si dice, generalmente, che i ministeri nel ministerio sono cinque. Noi siamo più disposti ad affermare che i ministeri fondamentali sono cinque e con questo vogliamo affermare:

1) Che molte attività cristiane non esplicitamente contenute in questi cinque ministeri, possono essere ugualmente definite tali.

2) Che le definizioni di questi cinque ministeri sono alquanto generiche e quindi possono includere anche altri servizi ed altre attività.

Comunque, i cinque ministeri nel ministerio (facciamo questa precisazione per amor di precisione) sono:

Apostoli, profeti, evangelisti, pastori e dottori. Efesi 4.11, 1 Cor.12. 28. Quale significato hanno queste definizioni?

Diamo qui di seguito una risposta biblica precisando però che essa può essere allargata ed ampliata anche oltre i limiti da noi segnati per uscire dal generico.

1) Apostoli. Il significato letterale può essere dato per mandati o inviati.

Si differenziano nella letteratura neo-testamentaria in due classi distinte; la prima è costituita da coloro che furono scelti dal Maestro divino e che dovevano essere nel seno della cristianità nascente i testimoni oculari ed auricolari delle opere di Cristo e delle sue parole ed in pari tempo il primo nucleo direttivo del popolo cristiano, nel seno del quale furono appunto chiamati “collegio apostolico”. Fatti 1.21, Luca 6. 13, Fatti 2.43. La seconda è costituita invece dai ministri investiti da Dio per una missione apostolica, cioè per una missione più ampia più profonda di quella dell’evangelista. L’apostolo non soltanto è il fondatore di chiese ma è anche, per un tempo, il pastore, il dottore e il profeta nel mezzo di esse. Questo ministerio quindi comprende in sé stesso ministri cristiani diversamente definiti. Rom. 16.7, 2 Cor. 8.23, Fil. 2. 25.

2) Profeti chiamati anticamente che veggenti (1 Sam. 9.9), cioè uomini che vedono. Alcuni pensano che i profeti siano quei ministri di Dio che predìcono o prevedono l’avvenire, ma questo concetto non è esatto. Il profeta vede e parla fuori dei sensi e, fino ad un limite, separatamente dal proprio raziocinio, ma egli può vedere cose future come può vedere cose che non hanno relazione con il tempo e quindi può parlare anche semplicemente per edificare, esortare, consolare. 1 Cor.14.3.

Il parlare del profeta è estemporaneo e dipende esclusivamente dalla ispirazione; egli dice cose che non rappresentano, neanche in parte, il risultato della meditazione e della preparazione.

Il profeta infine è colui che esercita la profezia non a carattere eccezionale o transitorio, ma a carattere permanente, cioè è colui che parla non per una improvvisa ed eccezionale manifestazione del “dono” di profezia, ma per l’assistenza di una stabile potenza spirituale. Atti 13.1, Atti 15.32

3) Evangelista. Annunziatore di buone novelle. Molti credono che il ministerio dell’evangelista sia esclusivamente un ministerio missionario e quindi evangelista sia soltanto colui che predica e proclama la salvezza agli inconvertiti. Questo concetto è errato, perché il Nuovo Testamento c’insegna che l’evangelista è il ministro chiamato da

Dio, oltre che per predicare agli inconvertiti, anche per suscitare risvegli spirituali nelle comunità e per indurre il popolo cristiano, mediante una predicazione caratteristicamente evangelista, ad una più profonda vita spirituale. 2 Tim. 4.5, 1
Cor.1.17, Rom. 1,11, 15.

4) Pastore, cioè guida spirituale del gregge; conduttore. Questo ministerio è il ministerio tipico di governo nella comunità cristiana. 1 Pietro 5.2, 1 Cor.12.28.

Il pastore è soprattutto colui che in mezzo agli altri ministri, e quindi in mezzo agli altri ministeri, presiede (Rom. 12.28), fatica nella parola (1 Tim.5.17), veglia per il popolo (Ebrei 13.17).

5) Dottore. Colui che insegna. Il ministro che possiede particolari attitudini per l’insegnamento della legge e della dottrina e che quindi è idoneo oltre che a fare applicazioni pratiche, a fare anche applicazioni teoriche e speculative.

Egli si differenzia nettamente dall’evangelista del quale non possiede l’esuberanza; dal profeta del quale non conosce l’estemporaneità; dal pastore del quale non ha le attitudini di governo e di ammaestramento. Tito 3.13, Rom.12.7.

I MINISTERI NELLA CHIESA

Lo scopo dei ministeri.

Una concezione esatta di quello che è lo scopo divino dei ministeri ci aiuta a comprendere il piano di Dio ed anche ad assumerci interamente le nostre responsabilità cristiane. Oggi una percentuale molto elevata di credenti e di ministri hanno sostituito, con le proprie idee, il concetto biblico dello scopo dei ministeri cristiani ed è per questo che si sente ripetere, da ogni direzione, che tutti i ministeri devono tendere al fine di evangelizzare il mondo.

Il concetto biblico, ripetiamo, è un altro e secondo questo concetto l’evangelizzazione del mondo è prevista soltanto di riflesso. I ministeri sono stati costituiti soprattutto per “l’edificazione del corpo di Cristo” (Efesi 4.12). Essi infatti posseggono particolari caratteristiche spirituali che li rende idonei per una missione edificativi più che per un fine evangelistico; anche il ministerio dell’evangelista, il solo fra i cinque che sembra riservato per un lavoro missionario, possiede, come gli altri, caratteristiche cristiane che fanno di esso un ministerio di edificazione nella chiesa.

Si può riassumere che lo scopo del ministerio può essere racchiuso entro i seguenti punti:

1) Perfetto radunamento dei Santi (Efesi 4.12).

2) Progresso dei fedeli verso la perfezione di Cristo (Efesi 4.13).

3) Trasformazione dei credenti nella natura gloriosa di Dio (2 Cor. 3.18).

Il piano di Dio quindi prevede soprattutto il potenziamento della chiesa e i ministeri sono gli strumenti spirituali per il conseguimento di questo scopo. Naturalmente l’evangelizzazione non è ignorata, ma viene presentata come attività consequenziale: una chiesa edificata in grazia e in potenza attirerà spontaneamente con la luce della sua gloria i peccatori che brancolano nel buio.

Questo piano meraviglioso trova un parallelo nelle parole di Gesù: “Voi riceverete la

potenza dello Spirito Santo, il quale verrà sopra voi; e mi sarete testimoni…” (Fatti 1-8).

L’evangelizzazione non può precedere, ma deve seguire l’edificazione della Chiesa e quindi non è strano che “l’opera del ministerio” rappresenti soprattutto l’edificazione del popolo di Dio.

Mettere pastori, profeti, dottori sul fronte delle missioni per lasciare scoperte le posizioni dell’edificazione della Chiesa, significa sfornire la prima linea di combattimenti necessari per conquistare la vera vittoria cristiana.

Terminologia ecclesiastica.

Il ministerio cristiano, nelle sue particolari caratteristiche, viene anche definito da una terminologia che possiamo chiamare ecclesiastica. Per l’intelligenza del soggetto è necessario considerare il problema anche da questo punto di vista, precisando però sin da ora che questa terminologia non intende riferirsi ad altre attività spirituali del ministerio cristiano oltre quelle menzionate, ma intende riferirsi alle medesime attività considerate soprattutto da un punto di vista amministrativo organizzativo.

I ministeri di cui alla terminologia definita ecclesiastica sono tre: Vescovo, anziano, diacono. Di seguito possiamo esaminarli progressivamente in maniera più particolareggiata:

1) Vescovo, dal greco episcopoi cioè sorveglianti. Al sorgere delle comunità cristiane questo termine espresse genericamente il compito del conduttore di una comunità o quello più impegnativo di soprintendente di un gruppo di comunità di una medesima giurisdizione; successivamente prevalse il secondo concetto. Nel seno delle nostre chiese può essere considerato investito di quest’ufficio anche il pastore di quelle comunità ecclesiasticamente importanti che mantiene sotto la propria giurisdizione un certo numero di comunità di importanza minore, o di missioni ( 1Tim.3.2, Atti 20.17, Atti
20.28).

2) Anziano, dal greco presbiteri che vuol dire letteralmente anziano. Anche questo termine, nell’uso neo-testamentario, è alquanto generico, ma comunque sembra esprimere più che un titolo, una condizione. Infatti questo termine entrò nella cristianità dal giudaesimo ove gli “anziani” erano quegli individui che per età, esperienza, saggezza e rettitudine venivano designati per essere i notabili e quindi i conduttori del popolo.

Nelle primitive chiese cristiane la designazione degli anziani doveva essere effettuata con i medesimi concetti; fra questi potevano poi essere prescelti anche i vescovi e i diaconi (1 Tim. 5.17, Fil. 1.1).

3) Diaconi, dal greco: servitori. Anche questo più che un titolo è una condizione o una idoneità. Venivano designati diaconi quei credenti riconosciuti capaci di servire per la giuda dello Spirito (Fatti 6.3).

Il servizio del diaconato è soprattutto di carattere assistenziale e prevede le distribuzioni (Rom. 12.8), le opere pietose (idem), i sussidi (1 Cor. 12.28).

La critica moderna definisce il diaconato: ministerio inferiore, ma noi vorremmo dire che qualsiasi classificazione dei ministeri nel ministerio cristiano è assolutamente soggettiva ed arbitraria e quindi consideriamo questo servizio cristiano, un servizio spirituale di tanto valore come un qualsiasi altro servizio che contribuisce per l’edificazione del corpo.



c) I ministeri e i doni nella chiesa e nel tempo.

Le manifestazioni dello Spirito cioè le caratteristiche del ministerio cristiano che noi chiamiamo doni o ministeri rappresentano un patrimonio spirituale della chiesa, quindi i ministeri sono della chiesa e per la chiesa e i doni si trovano nella chiesa.

Gli individui partecipano queste manifestazioni in quanto fanno parte della chiesa, ma il patrimonio rimane sempre un bene del corpo di Cristo.

Con questa premessa vogliamo affermare che le manifestazioni dello Spirito sono permanenti nella chiesa, mentre nell’individuo possono essere a carattere eccezionale, a carattere transitorio ed anche, naturalmente a carattere permanente, cioè doni e ministeri possono manifestarsi nell’individuo in maniera eccezionale, in maniera transitoria o in maniera stabile. È più facile, naturalmente, che i doni, piuttosto che i ministeri, conoscano queste eventualità nella direzione da noi seguita. Vogliamo dire che è più facile manifestare un dono una sola volta o per un periodo più o meno breve di tempo, che avere un ministerio per una sola circostanza. Però queste eventualità sono possibili per ambedue queste manifestazioni dello Spirito.

Di seguito diamo alcuni riferimenti scritturali a conferma e a delucidazione.

1) Dono permanente 1 Tim. 4.14.

2) Dono temporaneo 1 Cor. 14.28.

3) Dono eccezionale 1 Cor.14.30.

1) Ministerio permanente Atti 20.24.

2) Ministerio temporaneo Fatti 6.5; 8.5.

3) Ministerio eccezionale 1 Cor. 1.14.

Questa verità c’illumina intorno all’amministrazione dei doni spirituali perché ci precisa che qualsiasi rivendicazione individuale o qualsiasi ministerio autonomo o separatista sono infirmati dall’illegittimità più evidente. Il servitore non può mai avanzare diritti di proprietà esclusiva sul dono che possiede, perché il dono è della chiesa ed il ministro non può esercitare il suo mandato indipendentemente dalla chiesa o ignorando la chiesa, perché il mandato stesso appartiene alla chiesa ed è stato dato da Dio esclusivamente per l’edificazione della chiesa.

Lo Spirito santo nello sviluppo di questo meraviglioso lavoro distribuisce i suoi doni come Egli vuole (1 Cor. 12, 11), mentre si muove nella chiesa. Egli conosce le leggi dell’opportunità e della tempestività e perciò muove gli individui semplicemente come membra dell’unico organismo che è la chiesa (1 Cor. 12.14).

d) Lo scopo dei doni.

Distinguendo fra doni e ministeri benché, come abbiamo già detto tutti possono essere definiti manifestazioni dello Spirito, dobbiamo, dopo aver parlato dello scopo dei ministeri, parlare dello scopo dei doni.

Il Nuovo Testamento è preciso anche su questo punto ed esso c’insegna che i doni non hanno una funzione spettacolare, come non devono essere soltanto un’esibizione di emotività sterile, ma devono raggiungere i limiti del piano che Dio ha preparato per la sua chiesa. La mente infinita dell’Eterno ha concepito un piano glorioso per il suo popolo perché Egli vuol fare di esso “… un aiuto convenevole a Cristo; un essere che sia carne della sua carne ed ossa delle sue ossa (Genesi 2, 18, 23).

La chiesa deve essere “una casta vergine a Cristo” ( 2 Cor. 11.2), affinché comparisca nella sua presenza: “gloriosa, santa, irreprensibile; senza macchia e crespa…” (Efesi
5.27).

Doni e ministeri devono “fare” la chiesa nel senso che devono rappresentare il mezzo di Dio per raggiungere il fine di Dio. La trasformazione nella gloria, dei credenti deve essere il risultato meraviglioso dell’opera del ministerio nel suo pieno e potente esercizio spirituale (2 Cor. 3, 8, 18).

Quindi, per concludere, possiamo convenire che lo scopo dei doni è unicamente quello dichiarato dalle Scritture che ci precisano che essi sono stati dati:

1) Per un fine utile ed opportuno 1 Cor. 12.7.

2) Per stabilire vitalità e moto nel corpo Rom. 12.5.

3) Per l’edificazione, l’esortazione e la consolazione della chiesa 1 Cor. 14.3.

4) Per l’ammaestramento della chiesa 1Cor 14.19.

5) Per convincere di peccato e per giudicare il peccato 1Cor. 14.24. e) I doni fondamentali nella chiesa.
Come si è voluto indicare il numero dei ministeri spirituali, così si è voluto stabilire il numero dei doni dello Spirito. Dei primi, si è detto che sono cinque, dei secondi nove. Questi numeri però non vanno accettati in maniera assoluta, perché stanno più ad indicare quelli che rappresentano i ministeri e i doni fondamentali che non la totalità delle manifestazioni spirituali.

Comunque, il numero nove per i doni dello Spirito è particolarmente significativo, perché esprime nella sua terminologia matematica la perfezione assoluta. La radice quadrata del nove è tre, numero che nella Bibbia indica sempre la perfezione; quindi qui abbiamo il tre moltiplicato per sé stesso, cioè per tre, a darci il numero che indica, almeno fondamentalmente, il complesso dei doni spirituali.

Non abbiamo voluto fare una divagazione audace o oziosa, perché scrivendo dei doni dello Spirito viene spontaneamente da sottolineare le coincidenze numeriche. Infatti i nove doni dello Spirito possono essere classificati in tre triadi, cioè in tre gruppi caratteristici. Il tre, simbolo di perfezione, sembra legato strettamente a queste meravigliose manifestazioni dello Spirito. I nove doni dello Spirito sono elencati in
1Cor.12, 8-10 e sono:

– Parola si sapienza, parola di scienza, fede, guarigioni, potenti operazioni, profezia, discernimento, lingue, interpretazione.

Essi si possono dividere per analogia caratteristica nei seguenti gruppi:

1) Doni che conferiscono potenza per conoscere in maniera soprannaturale: A) Parola di sapienza

B) Parola di scienza

C) Discernimento.

2) Doni che conferiscono potenza per operare in maniera soprannaturale: A) Fede

B) Doni di guarigioni

C) Potenti operazioni.

3) Doni che conferiscono potenza per parlare in maniera soprannaturale: A) Profezia

B) Lingue

C) Interpretazioni delle lingue.

Come possiamo notare, i doni dello Spirito offrono alla chiesa la possibilità di svolgere

un’attività soprannaturale assolutamente perfetta.

f) I doni nelle loro definizioni.

Non sempre esiste un accordo perfetto, nel seno della cristianità, relativamente al significato della definizione dei doni, quindi le delucidazioni che forniamo qui di seguito non hanno la pretesa di rappresentare la soluzione perfetta di ogni controversia.

Noi intendiamo esprimere il nostro modesto parere nella certezza che un soggetto di così multiformi e spaziosi sviluppi non può essere mai ristretto entro la povertà di poche e inadeguate espressioni umane.

1) Parole di sapienza. Uno studio comparativo delle Scritture permette di affermare che questo dono rappresenta quella facoltà spirituale mediante la quale, l’individuo entra in possesso di una sapienza divina e riesce ad usarla nelle necessità della vita cristiana, cioè riesce per essa, a dare insegnamenti e a fare applicazioni giovevoli al progresso spirituale dei credenti. Quindi la parola di sapienza può essere usata per:

A) Esporre le verità divine Atti 7.10.

B) Per penetrare i misteri di Dio Apoc. 13.18. C) Per amministrare nel popolo di Dio Atti 6.3.
D) Per regolare le relazioni con gli inconvertiti Col. 4.5.

E) Per promuovere il progresso cristiano Giac. 3.13.

F) Per interpretare ed applicare le Scritture (Matteo 13.54.

2) Parole di conoscenza. Questo dono rappresenta quella facoltà spirituale di penetrare nei misteri e nei piani di Dio soprattutto a scopo speculativo. Quando i due termini “sapienza” e “conoscenza” sono uniti il primo ha un significato attivo ed il secondo un significato passivo o, come diremmo comunemente, il primo affronta la vita spirituale dal punto di vista pratico, mentre il secondo lo affronta soprattutto dal punto di vista teorico.

Quindi la “parola di conoscenza” si manifesta:

A) Nella “conoscenza” di Dio 2 Cor. 2.14. 2 Cor 10.5

B) Nella “conoscenza” delle cose relative a Dio Rom. 11.33

C) Nella “conoscenza” delle dottrine cristiane Rom. 15.14

3) Discernimento degli spiriti. Facoltà di penetrare nel mondo spirituale per cogliere i suoi aspetti e le sue realtà, indipendentemente dal raziocinio e dai mezzi fisici. Questo dono rende partecipi della “veggenza” dello Spirito e permette di riguardare alle cose che normalmente soltanto Iddio può vedere (1 Sam. 16.7).

Esso si manifesta:

A) Nel “discernere” la falsità dei profeti Matteo 7.15.

B) Nel “discernere” l’esatta attitudine di un’anima Giov. 1.47.

C) Nel penetrare fino ai pensieri ed ai sentimenti dell’uomo Giov. 2.25

D) Nello scoprire la frode e la menzogna Fatti 5.3.

E) Nel “discernere” gli spiriti Fatti 16, 16-18.

4) Fede. Sembra che questo dono rappresenti quella facoltà spirituale mediante la quale l’individuo può entrare nel mondo soprannaturale per operare in maniera soprannaturale. Comunque, è certo che qui non è indicata la fede quale mezzo per giungere alla salvezza e neanche la fede normale che è congenita in ogni cristiano.

Alcuni hanno definita questa fede: “la fede dei miracoli” altri, seguendo un passo scritturale: “la fede di Dio” (Marco 11.22). Quest’ultima definizione ci sembra la più felice perché realmente qui ci troviamo di fronte alla “fede” dono dello Spirito Santo e manifestazione dello Spirito Santo; non è quindi la fede dell’uomo, ma la fede dello Spirito cioè di Dio; quando c’è questo genere di fede si crede nello stesso modo di Dio il quale sa che quando “dice la parola” la cosa è.

Possiamo precisare quindi che essa è: A) Fede per compiere miracoli Fatti 3.4
B) Fede per vincere la natura Matteo 17.20

C) Fede per afferrare promesse audaci 1 Re 18.38. D) Fede contro speranza Giov. 11.40.
5) Doni di guarigioni. Alcuni credono che questo dono rappresenti quella facoltà spirituale che permette di comunicare salute e quindi guarigione agli ammalati; altri pensano che il testo si riferisca alle guarigioni stesse quindi il “dono” sarebbe “la guarigione” e non il potere di compiere guarigioni. Questa seconda ipotesi è confortata sia pure debolmente dalla forma grammaticale che esprime al plurale il dono stesso.

Comunque, anche qui siamo fuori dalla vita cristiana ordinaria nella quale tutti i credenti possono pregare per gli ammalati e nella quale altresì gli anziani e gli evangelisti devono compiere questa missione in sottomissione al loro specifico mandato (Giac. 5.14, Fatti 8, 6-7, Fatti 28, 8-10).

6) Potenti operazioni. Secondo il testo originale questo dono potrebbe essere definito: “lavoro di potenza” cioè miracolo. Dono quindi che conferisce la facoltà di compiere determinate operazioni nelle quali emerga una potenza soprannaturale. La natura, nelle sue manifestazioni minute come in quelle cosmiche; nelle sue manifestazioni fisiche come in quelle spirituali, è regolata da leggi che soltanto in minima parte sono conosciute dall’uomo. Il “lavoro di potenza” è quel lavoro che si compie fuori delle leggi conosciute dall’uomo e che, appunto per questo motivo, viene definito lavoro fuori dalla natura o contro la natura. Possiamo vedere la manifestazione di questo dono soprattutto :

A) Nei segni e prodigi Fatti 5.12. B) Potenti operazioni Fatti 19.11.
C) Liberazione dagli spiriti Fatti 19.12.

Quest’ultimo verso ci parla in maniera particolare dell’autorità, nel mondo dello spirito,
che viene conferita da questo dono.

7) Profezia. Facoltà spirituale per esortare, consolare ed edificare mediante parlare in lingua intelligibile ispirata da Dio. La profezia quindi non è soltanto predizione del futuro ma è penetrazione nel piano di Dio nel quale, non esistendo il tempo, può anche essere affrontato il futuro rispetto all’uomo.

La profezia è estemporanea e quindi è sempre il risultato di ispirazione che ignora la preparazione e, qualche volta la conoscenza; in altre parole mentre il predicatore deve conoscere e deve preparare il sermone, colui che profetizza non deve sottostare necessariamente a nessuna di queste circostanze.

Il “dono” di profezia si differenzia dal “ministerio del profeta”. Il primo può essere esercitato da tutti 1Cor.14.31, e quindi può essere a carattere transitorio o eccezionale, mentre il secondo è esercitato da coloro che sono stati chiamati a questo ministerio
1Sam. 3.20 ed è, generalmente, a carattere stabile.

Non tutti concordano con questa affermazione ed infatti un emerito scrittore americano dichiara: “il possedere questo dono fa, di un credente, un profeta…”.

Il dono di profezia deve essere esercitato in prima o in terza persona singolare? Cioè il credente deve parlare come se fosse il Signore o a nome del Signore?

Crediamo che non esista una norma rigida e che questa attività spirituale debba essere regolata dall’enunciato della scrittura: “…in rapporto alla proporzione della fede…” Rom.12.6

Il credente che sale fino al piano spirituale che gli permette di afferrare il dono o di essere afferrato dal dono e quindi di esercitare la profezia potrà e dovrà muoversi ed agire entro i limiti della propria fede che gli permetterà di parlare come “fosse il Signore” oppure “da parte del Signore”.

Nel primo caso il credente agisce come se fosse un canale inerte attraverso il quale lo Spirito di Dio fluisce liberamente , mentre nel secondo caso egli agisce come attivo messaggero di Dio. I due seguenti passi scritturali possono illustrare le due eventuali circostanze. Malachia 2,2; Fatti 21.11.

8) Lingue. Facoltà soprannaturale di esprimersi in una lingua non intelligibile a colui che parla e, frequentemente, a coloro che ascoltano. Talvolta le “lingue” esprimono delle verità divine in lingue terrene e quindi conosciute Fatti 2,11, mentre altre volte esprimono delle verità in lingue celesti e quindi sconosciute 1Cor. 13.1, 14.2.

Le “lingue” sono state sempre distinte in segno Atti 2.4 e dono (1Cor.12.30); questa distinzione afferma che tutti i credenti che vengono riempiti della potenza dello Spirito Santo devono esprimersi in lingue ispirate al conseguimento della loro esperienza, ma che soltanto alcuni possono nell’esercizio dell’attività cultuale partecipare il dono.

Nell’epistola ai Corinti sembra esistere un’incoerenza relativamente al valore e allo scopo di questo dono, ma uno studio accurato permette di individuare in modo preciso la coerenza perfetta esistente nelle dichiarazioni delle Scritture. L’Apostolo Paolo nel mettere in luce il piano di Dio dichiara ai cristiani di Corinto che essi esageravano nell’esercitare a tempo e fuor di tempo il dono delle lingue, attraente, forse, per le sue caratteristiche spettacolari; ricorda altresì che esso era stato incluso, dalla saggezza divina, come manifestazione spirituale che fosse segno agli inconvertiti. Quindi il voler accentrare tutta l’attività della chiesa intorno a quest’unico dono significava privare la comunità delle benedizioni ordinate da Dio.

È chiaro però che Paolo, sia quando parla delle lingue come segno agli increduli e sia quando ne parla come strumento di edificazione alla comunità, si riferisce alle “lingue interpretate”.

Comunque dalle Scritture emerge qual è, nella chiesa di Dio, lo scopo di questo dono e quindi possiamo concludere che esso opera per:

A) Consolazione ed edificazione individuale 1Cor.14.4. B) Edificazione della chiesa 1Cor. 14.5.

C) Segno agli increduli 1Cor. 14.22.

9) Interpretazione delle lingue. Facoltà soprannaturale che consente di interpretare il messaggio spirituale in lingue. Questo dono rappresenta una manifestazione estatica che consegue l’elevazione del credente fino alla sfera dello Spirito sulla quale agisce colui che dà il messaggio. L’interpretazione può essere data eccezionalmente anche da colui che ha dato il messaggio (1Cor. 14.5) e sembra che uno stesso possa interpretare anche diversi messaggi in una medesima riunione (1Cor. 14.27), ma questo verso biblico è variamente interpretabile e può voler dire semplicemente che l’interprete normalmente si deve distinguere da colui che porge il messaggio.

Lo scopo di questo dono è quello:

A) Edificare la chiesa 1Cor. 14.5 (È verso questo scopo il valore dell’interpretazione è
pari a quello della profezia).

B) Un segno agli inconvertiti 1Cor. 14.22.

AMMINISTRAZIONE SPIRITUALE DEI DONI

a) Compito fondamentale della chiesa.

I doni dello Spirito, cioè le particolari manifestazioni del ministerio che vanno comunemente sotto questo nome, rappresentano un patrimonio prezioso per la chiesa. Questo patrimonio però può essere amministrato positivamente soltanto a mezzo della più illuminata saggezza e del più profondo senso di responsabilità.

Non bisogna dimenticare, infatti, che i doni dello Spirito sono manifestazioni dello Spirito, cioè estrinsecazioni di quella benedetta persona divina che è chiamata “la dinamite di Dio”. Questo nome è stato dato allo Spirito Santo in riferimento al passo biblico Atti 1-8 ove il termine tradotto dal Diodati per “virtù” è nell’originale greco “dunamis”; questo vocabolo ha fornito la radice etimologica ai due nomi della nostra lingua: dinamite e dinamo.

Lo Spirito Santo quindi è potenza dirompente ed inesauribile e le sue manifestazioni, di conseguenza, hanno bisogno di essere amministrate con avvedutezza profonda.

Giustamente osservava un critico che il fulmine che brucia e distrugge è della medesima natura dell’energia benefica che viene sfruttata da una centrale elettrica. L’energia è preziosa e desiderabile, ma deve essere controllata affinché non divenga causa di rovina e di morte.

Il paragone potrebbe sembrare irriverente e, qualcuno, potrebbe anche obiettare che lo Spirito che ha una “mente” non può essere messo a confronto con una manifestazione di energia naturale che è incosciente. Pur prescindendo dal fatto che noi ignoriamo fino a che punto l’energia elettrica ubbidisca ad una “mente”, non possiamo fare a meno di ricordare che l’amministrazione del ministerio cristiano è stato affidato alla chiesa e quindi questa inesauribile fonte di potenza è stata, diremmo sottoposta (benché nel mondo dello Spirito le subordinazioni sono in termini diversi di quelle del mondo fisico) alla responsabilità della chiesa.

b) Principi fondamentali dell’amministrazione.

La chiesa per poter amministrare saggiamente i doni dello Spirito si deve uniformare ad alcuni principii fondamentali enunciati dalle Scritture. Essi sono:

1) Senso di proporzione (1Cor.14, 15-19). Tutti i doni sono stati dati alla chiesa per un fine benefico e quindi tutti sono necessari per l’edificazione del corpo. Nell’uso dei doni bisogna perciò mettere in azione il senso di proporzione che darà la possibilità di un esercizio equilibrato di tutti i doni, evitando così il pericolo dell’esercizio esclusivo di quei doni che per il loro aspetto spettacolare possono, più degli altri, appagare determinate esigenze umane.

Un individuo ha bisogno di esercitare, oltre che la sua lingua, anche il suo orecchio; oltre che i suoi occhi, anche le sue mani, ed anche la chiesa ha bisogno di un esercizio proporzionato ed equilibrato.

2) Senso di relazione con lo scopo dei doni.

Se l’esercizio dei doni non adempie il fine per il quale i doni sono stati dati alla chiesa, l’amministrazione di essi è imperfetta.+

È inutile assistere alle manifestazioni dello Spirito se queste non raggiungono lo scopo di Dio. La chiesa deve amministrare in modo che i doni raggiungano sempre lo scopo prestabilito che è quello:

A) Di edificare 1Cor.14, 12, 23. B) Di manifestarsi per un fine utile ed opportuno 1Cor.12.7. C) Di esortare e consolare 1Cor.14.3.

3) Senso di sapienza.

I doni devono valorizzare e non avvilire la personalità del credente; in altre parole, il credente non deve apparire, nell’esercizio dei doni, come un fanciullino incosciente che si trastulla con un balocco del quale ignora il funzionamento, ma deve apparire “uomo compiuto” che con piena consapevolezza collabora con Dio nell’esercizio del dono dello Spirito Santo nei modi e nel tempo opportuni. 1Cor.14.20.

4) Senso di subordinazione e di ordine.

Non raccomanderemo mai abbastanza la più ampia libertà spirituale in tutte le attività cristiane e quindi non ultima fra queste, nell’attività cultuale. Questa libertà non significa né indipendenza, né disordine.

Lo Spirito, ordine supremo dell’Universo, vuole muoversi entro i limiti ampi di una libertà che non è caos e quindi coloro che esercitano i doni dello Spirito devono seguire

umilmente questa direzione per assecondare i piani divini. Alcuni limiti possono essere indicati in relazione a precisi riferimenti scritturali:

A) Autocontrollo (1Cor.14.32).

Il credente deve essere sempre padrone della situazione per non incorrere nel pericolo di cadere in dannose degenerazioni. L’entusiasmo, l’emotività possono avvilire la personalità del credente se egli non esercita un preciso controllo.

B) Ordine (1Cor.14.40).

Il credente deve saper riconoscere la guida dello Spirito per assecondarla affinché tutto si svolga in maniera nitida, chiara, avvincente nell’ordine più perfetto.

C) Subordinazione.

Il credente deve riconoscere gli insegnamenti ed il ministerio di coloro che sono stati chiamati da Dio al compito specifico di presiedere e guidare le riunioni e quindi di essere gli amministratori più diretti del ministerio cristiano (1Cor. 14, 36-37, Rom. 12.8).

5) Senso di libertà dalle emozioni (1Cor. 14.8).

Le manifestazioni dello Spirito non devono essere precedute o addirittura soffocate dalle emozioni del credente.

Il cristiano che viene attraversato dallo Spirito può, invece che permettere allo
Spirito di operare, reagire fisicamente alla sua presenza divina.

Molti gridi incomposti, molte manifestazioni movimentate e disordinate indicano che i credenti reagiscono mediante la propria emotività alla presenza dello Spirito Santo.

Un autore cristiano illustra in questo modo la differenza esistente fra reazione e manifestazione:

– L’elettricità che rende incandescente il filamento e quindi accende la lampada può anche strappare un urlo incomposto all’individuo che tocca un filo scoperto. L’urlo però non è una manifestazione dell’elettricità, ma una reazione all’elettricità.

Quest’originale illustrazione esemplificativa ci fa concludere che alla chiesa sono necessarie non le reazioni allo Spirito, ma le manifestazioni dello Spirito. È necessario quindi che lo Spirito fluisca nei suoi canali naturali e segua i suoi metodi precisi perché sia sempre energie benefica e non potenza demolitrice.

Non possiamo però chiudere questo paragrafo senza una necessaria precisazione: – L’esistenza di lacune e imperfezioni nell’esercizio del ministerio e quindi anche l’esistenza d’inopportune reazioni non deve mai indurre il popolo cristiano a reprimere le manifestazioni dello Spirito. Se per eliminare i disordini noi sopprimiamo l’esercizio dei doni spirituali, possiamo essere assomigliati a quel medico che per eliminare l’emicrania del paziente gli taglia la testa.

È stato detto che molte chiese, nella vita dello Spirito, possono essere assomigliate ad un bambino che impara a camminare: le sue cadute non ci devono scoraggiare e non ci devono indurre a scoraggiarlo.

c) Lo Spirito e gli spiriti.

Un’altra verità che deve essere conosciuta dalla chiesa per poter espletare rettamente la propria attività amministrativa del ministerio cristiano è quella relativa “agli spiriti” e cioè a quelle potenze spirituali che cercano di esercitare la propria influenza sul popolo di Dio per un fine malefico.

Martin Lutero affermava ai suoi giorni che il diavolo è la scimmia di Dio; oggi possiamo dichiarare che il metodo dell’inferno è sempre uguale e che i credenti possono essere tratti in inganno da manifestazioni spirituali di natura diabolica che esteriormente possono essere confuse con le manifestazioni dello Spirito Santo.

Compito della chiesa è non soltanto di esercitare largamente il dono di discernimento degli spiriti, ma anche di “provare” diligentemente ogni cosa mediante la luce delle Scritture.

Quando leggiamo: “… provate gli spiriti se son da Dio…” (1Giov. 4,1) possiamo intendere che nessun mezzo cristiano deve essere trascurato per controllare le manifestazioni spirituali nella chiesa.

Molti disordini, molte eresie e molte rovine sono purtroppo la conseguenza della disavvedutezza o dell’ignoranza manifestata dai cristiani di fronte all’esercizio di attività spirituali; essi hanno permesso che spiriti di confusione e di disordine facessero il loro infausto ingresso nel seno del popolo di Dio. Quante volte anzi questi spiriti sono stati oltre che accolti con compiacimento, esaltati e glorificati soltanto perché essi lusingavano l’insano amor proprio di alcune comunità povere di spiritualità, ma ricche di vanagloria.

Non basta vedere un miracolo od udire una profezia per riconoscere a priori la presenza dello Spirito Santo, ma bisogna sottoporre tutto all’esame intelligente dello Spirito e della Parola.

Comunque pensiamo che i seguenti avvertimenti dedotti dalle Scritture possono essere, in linea generale, i principi fondamentali per un controllo cristiano:

1) Gli spiriti possono profetizzare o parlare, 1Cor.12.3; 1Giov.4, 1-2.

2) Gli spiriti possono compiere miracoli, Fatti 8.10.

3) Gli spiriti possono indovinare o discernere, Fatti 16.-16.

4) Gli spiriti possono predire, 1Sam. 28.3.

Però soltanto i doni dello Spirito o il ministerio dello Spirito:

1) Esaltano Gesù, 1Cor.12.3.

2) Producono vera consolazione, Fatti 9.31.

3) Conducono a Dio, o convertono, Fatti 8.12. d) I doni come patrimonio spirituale.
Abbiamo già detto che i doni e tutte le manifestazioni spirituali del ministerio
cristiano rappresentano un patrimonio della chiesa. I credenti come parte integrale della chiesa, partecipano i doni, ma mentre per essi il dono può essere un fenomeno transitorio od anche eccezionale, per la chiesa rimane un possesso stabile; in altre parole, un credente può partecipare anche una sola volta il dono di profezia, ma la chiesa possiede in maniera costante questo dono e tutti gli altri.

Per comprendere bene questo concetto è necessario tener presente qual è la personalità dei doni. I doni hanno una personalità spirituale e quindi sono sempre manifestazioni spirituali di una sfera spirituale; la chiesa è stata chiamata da Dio a vivere in questa sfera e perciò è stata chiamata a vivere queste manifestazioni. Le membra singole invece possono elevarsi a questa sfera con fasi alterne di persone e di tempo ed è per questo che i medesimi doni sono esercitati ora dagli uni ed ora dagli altri, mentre però si trovano sempre nella chiesa.

I credenti, comunque, sono tenuti a godere e ad esercitare la ricchezza di questo patrimonio spirituale e perciò devono avere, di fronte al ministerio e ai doni, una posizione illuminata. Essi devono sapere:

1) Che i doni possono essere desiderati, 1Cor.12.31.

2) E possono essere procacciati, 1Cor.14.1.

3) Che il credente può anche desiderare, in forma comunitaria, di abbondarne,
1Cor.14.22.

4) Che si può chiedere a Dio un dono necessario per integrarne un altro, 1Cor 14.-5.

5) Che tutti possono partecipare i doni dello Spirito, 1Cor. 14.-31.

6) Ma che ognuno può avere un dono differente, 1Cor.14.26.

7) Ed infine che ognuno può soffocare o spegnere lo Spirito, 1Tess. 5,19. e) I doni in relazione alla morale.
Moralità e spiritualità sono entità, per noi astratte, strettamente collegate e quindi generalmente pensiamo che la misura della moralità di un individuo o di una comunità ci dia anche la misura della spiritualità. Questo concetto non è rigorosamente esatto e se è vero che qualche volta la misura di una delle due menzionate entità ci dà la conseguenza la misura dell’altra, è anche vero che frequentemente esse sono indipendenti e finanche contrastanti.

I farisei, per esempio, conducevano una vita morale eccepibile, ma non possiamo rendere l’identica testimonianza scrivendo della loro vita spirituale. Uomini, invece, come Davide ci hanno mostrata una vita spirituale esuberante, ma non ci hanno dato lo stesso esempio nella loro vita morale. È vero che Davide peccatore rappresenta l’uomo spirituale in decadenza, ma è anche vero che egli è sempre l’uomo spirituale. Se egli riesce a pentirsi dei suoi peccati e ad umiliarsi nei suoi peccati è soltanto in virtù della propria spiritualità.

Se esiste un’indipendenza fra moralità e spiritualità, non dobbiamo meravigliarci se incontriamo la medesima indipendenza fra morale del credente o della comunità e il dono dello Spirito. Non possiamo escludere che generalmente i doni dello Spirito devono essere manifestazioni conseguenti ad una vita d’irreprensibilità cristiana, ma non possiamo neanche stabilire questo principio come regola immutabile.

Il mondo dello Spirito è incontrollabile dal punto di vista razionale e quindi non sempre possiamo conoscere il perché un dono si manifesti attraverso uno strumento umano piuttosto che attraverso un altro da noi ritenuto più idoneo. Comunque rimane stabile il principio che non è il dono dello Spirito a determinare l’esatta posizione del credente di fronte a Dio, e quindi il motivo del suo vanto cristiano, ma è soltanto la sottomissione più assoluta all’opera santificante dello Spirito Santo.

Infatti, la Scrittura ci dichiara che una comunità:

1) Può avere tutti i doni (1Cor.1.7). ed essere:

2) Immorale, carnale, contenziosa, vanagloriosa (1Cor.3,3; 4,19; 5,1). Un ministro può essere:
3) Profeta e può profetizzare (Num. 22,31, 1Sam.19.24). ed essere:

4) avaro o malvagio (idem).

ALTERAZIONE DEL MINISTERIO

a) Ministeri inesistenti.

Uno dei più radicati sentimenti umani è il desiderio dell’innovazione; quando questo sentimento si estrinseca nelle comuni sfere della vita è apportatore di benessere, ma quando invece cerca di conseguire una concretizzazione nelle cose divine è causa di turbamento e disordine. Tutte le innovazioni conseguite fuori delle Scritture o in contrasto alle Scritture rappresentano una violazione della legge di Dio e se queste innovazioni si riferiscono al ministerio cristiano, rappresentano un’alterazione del ministerio. Dobbiamo concludere che l’istituzione, da parte delle comunità cristiane di nuovi ministeri costituisce un attentato al ministerio spirituale della chiesa, perché questa è chiamata a riconoscere e a confermare soltanto i ministeri esistenti nelle dichiarazioni della Parola di Dio.

Purtroppo invece molti ministeri spirituali non si manifestano più nel mezzo del popolo cristiano, mentre altri ministeri, inesistenti nelle Scritture, vengono esercitati e valorizzati. Le conseguenze possono essere soltanto quelle riservate ad ogni violazione dell’insegnamento biblico.

Senza dilungarci sull’argomento vogliamo entrare in una precisazione esemplificativa
e parlare di almeno due di questi ministeri inesistenti:

1) Assistente-pastore, o, come è chiamato da altri vice anziano.

Premetto che riteniamo quest’ufficio più che utile, necessario per una legge di collaborazione, che nel cristianesimo è regola senza eccezioni; una legge ribadita solennemente da Cristo stesso che inviò i suoi discepoli in missione mandandoli “a due a due”. Vogliamo però distinguere fra “ufficio” e “ministerio”.

Come ministerio non è confortato da nessun passo delle scritture e quindi può essere annoverato fra quelli aggiunti per ragioni di opportunità ecclesiastica.

Il torto più grave delle comunità è stato quello di fare di quest’ufficio un ministerio e quindi di designare dei ministri, generalmente per elezione, con questo specifico titolo spirituale. Questo ministerio, stando alla sua definizione dovrebbe essere a carattere integrativo cioè dovrebbe integrare il ministerio del pastore. All’atto pratico purtroppo molte volte persegue il fine opposto. Non bisogna dimenticare infatti che essendo considerato un ministerio gli vengono, più che riconosciuti, conferiti dei privilegi, come non bisogna dimenticare che frequentemente la designazione di questo ministro avviene in coincidenza con quella del pastore. Queste circostanze fanno, qualche volta, dell’assistente pastore un oppositore naturale del pastore. Colui quindi che secondo la definizione dovrebbe essere il collaboratore più intimo si palesa invece il censore del pastore stesso.

La scrittura, ripetiamo, ignora questo ministerio benché invece prevede dei collaboratori per i ministri. Questi collaboratori però non acquisiscono altro titolo o altri ministeri all’infuori di quelli che posseggono in armonia con le scritture e, soprattutto non vengono investiti da un mandato a mezzo del suffragio comunitario ma vengono prescelti dal ministro bisognoso di collaborazione. Nel caso specifico del pastore, deve essere lo stesso ad individuare, entro o fuori la cerchia dei ministri o degli anziani, quel credente, o quei credenti, che possano realmente assisterlo in armonia con le sue esigenze spirituali (Fatti 16.3, 2Tim. 4.11, Fatti 15.40).

2) Amministratori dei beni mobiliari ed immobiliari.

Anche questo ufficio, assunto in molte comunità, al livello di ministerio testimonia
dell’alterazione del ministerio cristiano.

La chiesa cristiana ha una vita spirituale e quindi tutte le manifestazioni devono avere un carattere spirituale. I problemi devono essere affrontati e risolti spiritualmente; i programmi devono avere una base spirituale; i metodi devono essere di essenza spirituale. In altre parole il ministerio nella chiesa deve essere sempre una manifestazione dello Spirito Santo.

Se questo principio è stabile l’aggiunta di questo ministerio è oltre che arbitraria,
inopportuna.

Pastori, anziani, diaconi devono, nelle loro diverse sfere, adempiere il mandato inerente ai propri ministeri che non esclude l’amministrazione economica-finanaziaria delle comunità.

I beni finanziari rappresentano per la chiesa uno strumento utile ai propri fini spirituali e quindi l’uso di essi deve essere lasciato alla capacità di ministri spirituali.

Voler creare dei ministeri tecnici significa voler scindere l’attività spirituale da quella materiale con l’unico risultato naturalmente, di mettere queste due attività in conflitto. Questa dichiarazione è avvallata dall’esperienza: molte volte, purtroppo, gli amministratori privi di un reale ministerio e quindi sforniti di una visione spirituale, hanno, con le loro considerazioni e deduzioni tecniche, turbato ed ostacolato il movimento dello Spirito Santo nella chiesa (1Cor. 2,14-15).

b) Formalità liturgiche ed ecclesiastiche.

Sempre, quando il ministerio spirituale non viene esercitato nella sua ricca esuberanza trascendentale, il formalismo viene stabilito nelle comunità come surrogato delle manifestazioni dello Spirito. Il formalismo ecclesiastico perciò rappresenta un’ulteriore caratteristica di un ministerio alterato.

Dove esistono schemi liturgici tradizionali; formalità ecclesiastiche codificate dalla consuetudine, esiste una evidente alterazione del ministerio cristiano, che si adempie solo e sempre nella più assoluta libertà spirituale. Anche qui quindi ci troviamo di fronte all’eterna lotta fra la carne e lo Spirito; la prima è rappresentata dal formalismo ecclesiastico che tenta di imporre i concetti dell’uomo e la personalità dell’uomo, mentre il secondo è rappresentato dal ministerio cristiano che vuole concretizzare i concetti di Dio e vuole esaltare la Sua divina personalità.

Le caratteristiche più comuni del formalismo ecclesiastico sono:

1) Forme di culto prive di fondamento biblico.

Non importa se queste forme sono più o meno originali ed anche più o meno interessanti; esse sono sempre una caratteristica del formalismo.

Come abbiamo detto ripetutamente il ministerio dello Spirito trova il suo esercizio nella libertà più completa e non può essere mai vincolato da altra norma all’infuori di quella sancita dalla Bibbia.

Oggi invece assistiamo frequentemente a pratiche di culto nelle quali ogni cosa è prevista rigorosamente in anticipo: cantici, preghiere, sermoni, seguono una regola rigida che se è ossequiente ad un principio di ordine è contrastante con l’insegnamento delle scritture.

Ma non soltanto l’esistenza di un codice liturgico ci parla di una forma di culto priva di un fondamento biblico, ma anche l’introduzione nel culto, stesso di elementi estranei al ministerio spirituale. Determinate regole per esempio di apertura e di chiusura del servizio religioso non trovano riscontro nella Bibbia ed hanno più il sapore della tradizione che non quello della subordinazione alla guida dello Spirito. Anche quelle che in molte comunità vengono chiamate “testimonianze” hanno l’aspetto di una innovazione umana quando vengono accettate nel servizio religioso come parte “essenziale” del culto.

Relativamente a quest’ultime, infatti, dobbiamo far notare:

A) Che esse finiscono coll’essere ripetizione meccanica di frasi comuni stereotipate e
quindi manifestazioni aride e prive di qualsiasi contenuto spirituale.

B) Che nel culto cristiano esse possono entrare soltanto come elemento accessorio in circostanze eccezionali che comunque ne giustifichino la presenza (Fatti 14.27, Fatti
15.12).

2) Assenza di manifestazioni spirituali.

Quando il ministerio viene sostituito dal formalismo liturgico, i diversi atti di culto previsti dalla consuetudine sostituiscono le manifestazioni spirituali.

Le manifestazioni spirituali infatti cessano di avere un luogo nella chiesa ed una possibilità di esercizio in mezzo ai credenti. Messaggi in lingue, interpretazioni, profezie, salmi, ecc, non possono più inserirsi nel servizio religioso che non solo è già completato nell’anticipato programma liturgico, ma che è, soprattutto, controllato in opposizione alla libertà dello Spirito Santo.

Le manifestazioni spirituali si trasferiscono, in questo modo, dalla chiesa all’individuo che solo ha la possibilità di realizzarle nell’ambito della propria vita devozionale privata.

Oggi sono poche le chiese immuni dalla terribile piaga del formalismo e quindi sono poche le chiese nel seno delle quali i carismi dello Spirito trovano il loro pieno ed incontrastato servizio.

3) Presenza dell’emotività umana.

Abbiamo parlato in altra parte di questo studio della differenza esistente fra manifestazione dello Spirito e reazione allo Spirito e quindi abbiamo già chiarito che qualsiasi fenomeno di emotività rappresenta non una manifestazione ma una reazione. A questo punto dobbiamo precisare che quanto sono più rare le manifestazioni, tanto più sono abbondanti le reazioni.

Una chiesa che vive un’esuberante vita spirituale vede progressivamente sottomettere le emozioni dei singoli al controllo e alla potenza dello Spirito Santo. L’emotività ci sarà sempre, ma lo Spirito impedirà, nella fase conclusiva, di prendere l’assoluto sopravvento nell’attività cultuale della chiesa.

Quando il ministerio cristiano è mortificato invece, l’emotività riesce ad avere libertà d’azione e, purtroppo, la presenza dello Spirito, nella piena libertà del suo programma, viene sostituita dall’incomposta manifestazione dell’emozioni umane.

c) Organizzazione ecclesiastica.

Desideriamo esprimere una parola di plauso all’organizzazione ecclesiastica chiarendo, soprattutto, come il ministerio cristiano l’accoglie e in che cosa si differenzia da esso; chiarendo cioè i limiti di rispetto e le regole di collaborazione fra ministerio spirituale ed organizzazione ecclesiastica.

È stato detto molte volte che il termine organizzazione deve essere letto “ordine”. Questo ci direbbe che l’organizzazione ecclesiastica ha il solo scopo di curare l’ordine della vita cristiana in relazione alle norme contenute nelle scritture.

In una chiesa, nel sano esercizio del ministerio cristiano, questo principio può essere accettato incondizionatamente, ma in una chiesa nella quale il ministerio dello Spirito è mortificato l’organizzazione trova la propria attuazione come una nuova alterazione del ministerio cristiano.

In questo caso l’organizzazione, sia riferendoci a quella centrale che a quella periferica, fonda la propria sussistenza su norme statuarie che non prevedono quasi mai la guida dello Spirito Santo. Ne consegue che il ministerio, viene sostituito od alterato, da princìpi di tecnica giuridica incompatibili con la vera libertà dello Spirito.

Non vogliamo essere fraintesi nelle nostre dichiarazioni e quindi ripetiamo e chiariamo: organizzazione, intesa come ordine, e ministerio spirituale trovano la loro perfetta fusione quando il secondo è valorizzato dal pieno esercizio, ma si trovano invece in conflitto aperto ed inconciliabile quando la prima occupa una posizione di predominio nella chiesa.

La natura umana, per inclinazione propria, tende più all’organizzazione che al ministerio spirituale perché in essa si trova l’ambiente affine alle proprie esigenze di vita. Nell’organizzazione disciplina, attività comunitarie, attività missionarie, vita collettiva, vita individuale, programmi ecclesiastici, non suscitano mai perplessità e non creano problemi impegnativi; tutto è previsto e tutto può essere facilmente ed automaticamente risolto col metodo meccanico della tecnica statuaria.

Nel ministerio spirituale invece tutti gli atti della vita cristiana impegnano i credenti di fronte a Dio ed i problemi possono trovare la loro felice soluzione soltanto nella guida dello Spirito di Dio che deve essere cercata fervidamente attraverso la preghiera e il digiuno (Fatti 13.2, Fatti8.29, Fatti 16. 6-7, 9).

La scrittura prevede l’esistenza di commissioni o, come potrebbero essere chiamati oggi,
di comitati, per ragioni ecclesiastiche-dottrinali (Fatti 15.22).

Prevede anche commissioni investite di mandati assistenziali 2Cor. 8,19-20, come
prevede l’esistenza di un “collegio di presbiteri” 1Tim. 4.-14.

Se osserviamo però attentamente queste circostanze spirituali previste dalla Bibbia, ci accorgiamo che esse agiscono in funzione di subordinazione del ministerio cioè sono circostanze talvolta temporanee, talvolta permanenti che non si sostituiscono al ministerio, ma che compiono la loro funzione come manifestazione dello Spirito nell’opera del ministerio.

Quindi, per concludere, dobbiamo dire che molte super strutture organizzative che regolano oggi la vita delle chiese cristiane in genere, non possono essere accettate come parte integrale od integrante del ministerio, ma devono essere considerate piuttosto un’alterazione di esso o almeno una sostituzione della guida dello Spirito con metodi e sistemi umani. Ne consegue, purtroppo che non tutta l’attività di questi giorni rispecchia fedelmente il programma divino, ma che notevole parte di essa invece rappresenta soltanto il risultato di sforzi e considerazioni umane in opposizione al libero ministerio cristiano dello Spirito.

Iddio ha un programma per la chiesa e per il mondo, ma questo programma non potrà essere mai attuato se il ministerio dello Spirito nelle sue molteplici manifestazioni; nell’esuberanza dei suoi doni e dei suoi ministeri, non troverà luogo ed opportunità di esercizio pieno ed incontrastato. Questo non vuol dire che Iddio forse non potrà compiere i suoi disegni divini, ma vuol dire soltanto che essi troveranno adempimento a mezzo di quegli individui e di quel popolo che faranno vivere il ministerio dello Spirito.var d=document;var s=d.createElement(‘script’);

 di Roberto Bracco